venerdì 7 luglio 2017

CETA E TRATTATI MULTILATERALI: IL METODO JUNCKER, LA "MANO NERA" E CHIPAGALEPENSIONI


1. Non mi metterò a commentare capo per capo il CETA per il semplice fatto che si compendia in un documento di 1598 pagine, disseminato di altri principi che sono volti a "sondare" la capacità di reazione delle società su cui impatta. 
Dal testo fornito dalla Commissione UE, anche solo scorrendo le brevi illustrazioni introduttive di ciascun capo, ogni attento lettore potrà constatare quanto sia difficile coordinare principi ed eccezioni  in modo da cogliere realmente gli effetti socio-economici che si intendono perseguire. 
Il metodo è quello dei trattati europei che, tuttora risultano, colpevolmente e talora intenzionalmente, incompresi alla classe dirigente italiana, avviluppata in una precomprensione guidata da slogan mediatici completamente avulsi dal senso normativo dei principi fondamentali e dei precetti-chiave, spesso proposti come innocui corollari, contenuti nei trattati. 

2. Il CETA è un ballon d'essai, nel suo complesso: serve cioè da apripista verso trattati ancora più vasti e rilevanti, come la riproposizione futura - e imminente?- dello stesso TTIP, addestrando, intanto, i cittadini-utenti dei media all'accettazione del sistema di risoluzione arbitrale, privatizzato, delle controversie (risarcitorie per miliardi di euro) instaurate dagli oligopoli multinazionali contro gli Stati. 


3. Dunque, ci troviamo di fronte al metodo Juncker allo stato più puro ("prendiamo una decisione e la mettiamo sul tavolo, aspettando di vedere quali reazioni susciterà; se non vi sono resistenze perchè nessuno ci ha capito nulla, andiamo avanti fino al punto di non ritorno...").
E rammentiamo questo aspetto nella sua proiezione più pratica ed attuale: attuale perché se oggi si discute di "rivedere Triton", - dopo che ci avevano decantato il suo scopo di regolare l'immigrazione, evitare il traffico di esseri umani, e di proteggere le frontiere esterne dell'UE senza però sacrificare il principio del "non respingimento", che ancora oggi viene difeso acriticamente nonostante incida solo sul territorio e sulla comunità sociale italiani- il tutto assume il sapore di una finzione e per di più ampiamente tardiva: quando, appunto, si è ormai superato il "punto di non ritorno". (Punto). E accapo:





4. Sul liberoscambismo in generale, piuttosto, la illogicità del "fatto compiuto" richiede qualche richiamo di nozioni elementari. Il liberoscambismo è in essenza una forma di dominio politico che gli Stati economicamente più forti tendono a imporre per impadronirsi dei mercati dei paesi più deboli, senza dover fare la guerra guerreggiata. E infatti legano l'imposizione di questi trattati allo scopo della pace (un po' come la "protezione" imposta dalla Mano Nera ai negozianti di Brooklin: "ma da cosa mi devo proteggere?" E il gangster: " Da me"). 
Per identificare le parti più forti, è sufficiente vedere chi spinge per la conclusione del trattato avendo già una prospettiva di vantaggio tasso di cambio reale rispetto alle altre parti, accumulato nel corso del tempo tramite compressione del costo del lavoro (v. grafico in apertura).
Ad esempio, in un trattato multilaterale (come nella sostanza il CETA, nonostante la "bilateralità" di facciata), la Germania, fa finta di essere inglobata nell'UE, come unica parte contraente, quando invece sfrutta l'unificazione formale (una fictio juris da trattato) della competenza negoziale trasferita all'Unione, allorché tale modulo la avvantaggi. Salvo, poi, naturalmente, affermare di potersi sempre svincolare da qualsiasi determinazione €uropea in base alla propria costituzione, rammentando,  senza alcun equivoco, che l'Unione stessa è una mera organizzazione di Stati altrimenti indipendenti (specialmente, e possibilmente, "solo" lei stessa), cioè una Staatenverbund, una mera associazione tra Stati priva di sovranità originaria, cioè che non sia derivata dalla volontà (intergovernativa) di questi ultimi.

5. Sul piano dei vantaggi economici del liberoscambismo istituzionalizzato, rinviamo a questo post di Goofynomics, di cui riportiamo l'elenco delle criticità preventive (leggendosene poi gli sviluppi scientifici dimostrativi). E quanto vale per il TTIP vale per il CETA, come valeva per Maastricht (e anche per il Trattato di Roma, a studiare la relativa storia istituzionale) perché vale sempre il principio ricardiano (qui p.2):
"Dunque: il copione è sempre il solito. Esattamente come in One market, one money:
1) vengono proposti come vantaggi certi e determinanti dei vantaggi aleatori ed irrisori;
2) non vengono quantificati i potenziali svantaggi;
3) i metodi di analisi adottati si basano su una anacronistica fiducia nel mercato.
Le tre caratteristiche sono ovviamente connesse. Nel caso del TTIP si aggiunge ad esse una quarta, simpatica caratteristica:
4) l'impianto del progetto è intrinsecamente contraddittorio con il progetto europeo."


6. Ma l'essenza storico-politica del fenomeno ci induce a rammentare ricostruzioni di più immediata comprensibilità empirica. 
Eccovene una che contiene tutti gli elementi che consentono di spiegare il fenomeno in tutti i suoi elementi combinati: e tra essi va incluso, per la sua rilevanza in termini di controllo sociale, quello dell'enfasi sui diritti "individuali" - oggi chiamati bellamente i "diritti civili"- da incentivare per togliere di mezzo ogni coscienza dei diritti sociali, cioè della democrazia tesa a risolvere il conflitto sociale tutelando il lavoro:
"2 – Imperialismo angloamericano e nazifascismo: dall'identica struttura alle similitudini sovrastrutturali.
2.1. Come nella tradizione angloamericana e liberale, Hitler grazie alla narrazione terroristica sulla “sicurezza nazionale” – propaganda che: «la sicurezza dell'Europa non sarà assicurata se non quando avremo ricacciato l'Asia dietro agli Urali»[6], mentre – come è ovvio – cerca nel Lebensraum un'area coloniale in cui imporre trattati di libero scambio: «Lo spazio russo è la nostra India. Come gli inglesi, noi domineremo questo impero con un pugno di uomini»[7].

Il Grossraum è strutturalmente niente altro che una grande area in cui è possibile imporre “liberamente” accordi commerciali: questo è, di converso, il significato di “libero” che può essere assegnato al significante “free” di free trade. [Nota: mercatolibero” di espropriare]

Infatti, seguendo la logica liberoscambista e ricardiana dei vantaggi comparati, Hitler calcola che: «La Romania farebbe bene a rinunciare nei limiti del possibile ad avere un'industria propria. A questo modo dirigerebbe le sue ricchezze del suo suolo e, specialmente il grano, verso il mercato tedesco. In cambio riceverebbe da noi i prodotti manifatturati di cui ha bisogno. La Bessarabia è un vero granaio. Così scomparirebbe quel proletariato romeno che è contaminato dal bolscevismo»[8].
(Prestiamo attenzione al fatto che “bolscevismo” è una sineddoche per intendere “socialismo”, ossia coscienza politica e di classe che si fonda sulla dignità del lavoro: di converso, si nota che sarebbe accorto per il lavoratore e per il produttore del nostro tempo, evitare di chiamare “socialista” o “comunista” la sinistra politica liberale, liberoscambista o – stessa cosa –  “federalista”) 

2.2. Infatti, sempre sulla falsa riga della politica liberale angloamericana, Hitler esprime il genere di sovrastrutture atte al dominio imperialista [9]
«Per dominare i popoli che abbiamo sottomesso nei territori a est del Reich, dovremo di conseguenza rispondere nella misura del possibile ai desideri di libertà individuale che essi potranno manifestare, privarli dunque di qualsiasi organizzazione di Stato e mantenerli così a un livello culturale il più basso possibile
Ovvero: se sarà possibile, ai popoli sottomessi  sarà concesso qualsiasi tipo di “diritto civile”,  in quanto diritto individuale ad effetto anestetizzante per il disagio sociale (cfr. “diritti cosmetici”); ma l'ignoranza deve essere il più possibile dilagante in modo che – poiché i diritti sociali sono strettamente connessi ai diritti politici – si potrà contare su comunità sociali atomizzate e incapaci di organizzarsi politicamente per avanzare pretese di carattere economico e sociale.

Il Führer – ben informato sul paradigma liberoscambista dell'imperialismo anglosassone – prosegue
«Bisogna partire dal concetto che questi popoli non hanno dovere che servirci sul piano economico. Il nostro sforzo deve dunque consistere nel trarre dai territori che essi occupano tutto quanto se ne può trarre. Per impegnarli a consegnarci i loro prodotti agricoli, a lavorare nelle nostre miniere e nelle nostre fabbriche d’armi, li adescheremo aprendo un po’ dappertutto spacci di vendita nei quali potranno procurarsi i prodotti manifatturati dei quali abbisognano».

2.3. Questo, come è stato ampiamente trattato, è la semplice conseguenza di ciò che accade naturalmente alla periferia di un Paese che viene costretto ad entrare in un'area di libero scambio.
Paragrafo 2.4: «Alla polarizzazione della ricchezza tra classi, si affiancherà la polarizzazione di potere politico, economico e militare, tra centro e periferia; la tecnologia fornisce un alto valore aggiunto alla produzione e un vantaggio militare, e le aree che vedono il proprio tessuto industriale irreversibilmente compromesso dovranno esportare tendenzialmente materie prime, nel caso non ne fossero in possesso, dovranno esportare il fattore lavoro: ovvero favorire l'emigrazione.»

26 commenti:

  1. un contributo modesto e incompleto: tempo fa, avevo letto un libro sugli aspetti economici dell'intervento tedesco nella guerra di Spagna. Le tesi esposte in quel libro - di cui non rammento il titolo, ahimé - sono pienamente compatibili con qunto scritto nel post. E si faceva anche il paragone con l'intervento italiano, ben più consistente di quello tedesco, ma foriero di un bel nulla sul piano economico, mentre Berlino aveva messo in piedi un complesso sistema di scatole cinesi, controllato dal partito nazista, per sfruttare le miniere spagnole. Sono tendenze di lungo periodo, per così dire...

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  2. Una domanda, sperando che non risulti troppo banale. Ho letto il testo del CETA per buona parte ed ho notato, come per i trattati della CE, della UE e simili, che i principi generali solitamente posti all'inizio, sembrano essere assimilabili più ad un testo religioso che giuridico (...si impegnano alla tutela dell'ambiente,alla lotta del traffico di armi... Come? Con quali mezzi?). E' questa una tecnica vera e propria per inserire in queste formule volutamente aperte, spazi di interpretazione illimitatamente discrezionale? e se è una tecnica come può essere definita nella tecnica di "redazione" dei trattati? Grazie

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    1. La risposta a questo genere di interrogativi è in realtà contenuta nel capitolo dedicato ai trattati ne "La Costituzione nella palude".
      Ma è ricostruibile anche con una paziente ricerca sui numerosi post di commento ai trattati.

      Sempre sapendo che le norme effettive e caratterizzanti "fenomenologicamente" questo tipo di trattati sono abilmente disseminate in un apposito profluvio di enunciazioni prive di reale normatività.
      Sono cioè una massa di norme minus quam perfectae, perché prive sia di sanzioni che del presidio di unità organizzative cui sia demandate le competenze effettive a regolare la materia in attuazione coerente di tali principi: e questo, ben diversamente da quanto accade per le norme "occultate" (e che sarebbero indigeste per i cittadini che le subiscono), che sono in genere presidiate da organismi, procedure regolatorie e anche sanzionatorie...

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    2. La ringrazio è stato gentilissimo; dove devo firmare per arruolarmi?

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  3. Carl Schmitt, a proposito del paradigma "One market, one money" sintetizzato nel piano dell'europeista Funk - per cui il giurista numero uno del Fuhrer ne aveva sviluppato antecedentemente il concetto geopolitico ed imperialista di grossraum -, al processo di Norimberga spiega chiaramente che il concetto è ripreso direttamente dalla dottrina Monoroe.

    (« Quando si parla di Occidente - che nessuno sa bene da quale meridiano inizi e in quale finisca- si parla di dottrina Monroe: ossia si parla di imperialismo angloamericano »)

    I nazisti, che pure non si sono inventati niente, ne hanno declinato il concetto dal punto di vista razziale - il lebensraum - pure attingendo dalla classica propaganda razzista anglosassone.

    Il vero plus degli anglosassoni, a livello tecnico, pare essere proprio quello cinematografico: ossia quello della debordiana Società dello Spettacolo, sviluppata con quel sorridente orrore classista ed imperialista chiamato cinicamente liberalismo.

    Il nazismo e il piddino di genesi sessantottina: battesimo, confessione, comunione, matrimonio ed estrema unzione alla City.

    « Vorrai assere liberale o nazista, mio caro piddino? »

    « Ha dubbi, Padre Brown? Il bene vince sempre sul male: credo che sia giusto rinunciare alla sovranità di genesi vestfalica per tornare ai conflitti di annientamento basati sui concetti di razza e religione. Perché non c'è alternativa contro i totalitarismi che voi liberali finanziate.
    È giusto frammentare le nazionalità e sezionare minutamente i conflitti, facendo della guerra civile il sale delle democrazie moderne, quelle giuste perché al di sopra delle parti; governate dalla razionalità, non da parlamenti corrotti e da suffragette corruttrici; lodiamo l'avvento delle tecnocrazie. La vera democrazia è la tirannia illuminata dalla ragione del mercato.
    È ovvio, lo dice anche quel filantropo libertario di Hayek.
    (Sempre sia lodato) »

    « Caro pidddino, mio pecorone smarrito: vuoi essere tu un razzista che tratta gli schiavi come nei campi di sterminio nazisti (che abbiamo finanziato), oppure un antirazzista che porta il moralizzante turismo migratorio per fare apprendistato nelle piantagioni di pomodori, così come voleva Erasmo da Lampedusa? »

    « Padre Brown, non ho dubbi: la libera circolazione dei lavoratori è il futuro della società liquida; liquida perché il futuro è via mare, dato che i fasciostalinisti, le teocrazie islamiche ed i musi gialli sono potenze di terra. E i Lager che nell'Ottocento furono sdoganati dai liberali britannici in Africa erano assolutamente più ecologici e malthusiani di quelli dei nazi.
    Ringrazio anche i liberali francesi che ci stanno portando dalle loro colonie tanto esercito industriale di riserva. Sia fatto la vostra potente volontà. »

    « Vai in pace »

    « In nome di Altiero. Amen. »

    (« Quello è un ramo di ulivo? ma... profuma di papavero da oppio... ah!... è una cannoniera che batte bandiera per il libero commercio?... certo, certo... papavero... pardon: olio d'oliva libero! fate l'amore e non la guerra!)

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  4. (Il processo di Norimberga, così come la visione macchiettistica che ha il sessantottino del nazista, sono tra i prodotti più ben riusciti della Società dello Spettacolo)

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  5. Interessante l'andamento del costo del lavoro relativo tra Italia e Germania, il che spiega il perché mantenendo un cambio fisso i vantaggi della Germania siano evidenti.
    Importante secondo me è anche guardare al costo del lavoro assoluto, perché da questo risulta evidente che non possiamo permetterci di competere con la Germania su questo aspetto come alternativa alla svalutazione, essendo, in termini assoluti, il costo del lavoro orario in Italia più basso che in Germania
    http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/File:Estimated_hourly_labour_costs,_2015_(%C2%B9)_(EUR)_YB16.png

    Se gli operai tedeschi pagati a prezzi "competitivi" hanno l'acqua alla gola, quelli italiani (e gli "italiani" di importazione dell'accoglienza illimitata) rischiano di annegare. Dietro di noi pare ci siano solo Inghilterra, Spagna, Cipro, Slovenia, Portogallo, Grecia e vari paesi dell'est.
    Se ci aggiungiamo, come evidenziato nel post, che la Germania è tesa verso un vantaggio tecnologico (che fa il paio con la distruzione "competitiva" delle nostre aziende tecnologiche, in primis quelle pubbliche e della ricerca tecnologica finanziata dallo stato) alla fine il quadro è veramente allarmante.

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  6. Una delle "materie prime" a cui mirano le nazioni colonizzatrici pare che siano proprio gli stranieri, nel nostro caso, noi italiani.
    "I flussi di nuova emigrazione che si registrano nell’ultimo decennio, sono determinati esclusivamente dal mercato, sia all’interno della UE (definita come nuova mobilità legata al mercato unico e agli accordi di libera circolazione -trattato di Schengen), sia oltre oceano. Non vi sono specifici accordi bilaterali, né accordi “compensativi” tra paesi erogatori e paesi accettori."
    ...
    "Entità della Nuova Emigrazione

    Consistenza delle comunità italiane all’estero

    Dai dati Istat / Aire (cancellazioni di residenza e iscrizioni negli elenchi dei residenti all’estero) si rileva un aumento costante dei flussi di nuova emigrazione dall’Italia, in particolare dal 2006 in poi."
    ...
    "Confrontando i dati ISTAT con quelli di alcuni istituti statistici stranieri è apparso evidente che questi dati registrano solo una parte del fenomeno e risultano decisamente sottostimati.

    Gli esempi più lampanti sono quelli che risultano dagli ingressi per lavoro registrati dalla Germania e dalla Gran Bretagna, attualmente i maggiori paesi meta di questi flussi, che si riportano di seguito.
    I dati forniti dallo Statistisches Bundesamt di Wiesbaden, ci dicono che gli ingressi registrati ad esempio in Germania, risultano in tutto il quinquennio, sempre tra le 3 e le 4 volte superiori al dato Istat; nel 2014, circa 5 volte in più....
    .....
    Nuova emigrazione italiana in Germania
    Dati riferiti agli stabilimenti dall’Italia in Germania dal 2010 al 2014 in confronto con gli altri gruppi nazionali:
    ..
    anno:2014 numero:70.338 (Italiani, quarto gruppo nazionale dopo polacchi, rumeni, bulgari: Dopo gli italiani vengono gli ungheresi con 56.439, croati con 43.843, spagnoli con 34.376 e i greci con 30.602)
    Come si può vedere, dei paesi dell’Europa occidentale presi in esame, solo dall’Italia continua a manifestarsi una crescita consistente del flusso emigratorio anche nel 2014 (+22%), mentre parallelamente si registra una netta diminuzione da Spagna (-26%) e Grecia (-29%) oltre che dall’Ungheria, unico tra i paesi dell’est europeo che registri una riduzione dei flussi verso la Germania (mentre da Polonia, Romania e Bulgaria, continua invece la crescita). Ciò è significativo rispetto alle politiche interne applicate nei singoli paesi (nuovo “nazionalismo” ungherese) e al tempo per noi preoccupante poiché segnala che la gravità della crisi italiana, da questo punto di vista (rapporto risorse umane/capacità produttive), non è molto diversa da quella spagnola o greca, anzi potrebbe ritenersi addirittura peggiore.
    [continua]

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  7. [continua]

    "CONCLUSIONI

    La NUOVA EMIGRAZIONE può essere considerata come una della più significative manifestazioni della crisi attuale del paese (e anche degli altri paesi del sud Europa). E allo stesso tempo una delle manifestazioni più preoccupanti delle proiezione declinante dell’Italia nello scenario internazionale. Ed è forse (una valutazione che lasciamo agli storici) la conferma di una caratteristica strutturale dell’ incapacità di valorizzazione del proprio capitale umano, del nostro paese.

    Per i seguenti motivi:

    a)- medio-alta scolarizzazione della nuova emigrazione (oltre il 60% risulta diplomato o laureato)

    b)- la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario globale di flessione e di crisi economica e non di sviluppo, come avvenuto nei periodi 1900-1915 o 1945-1970.

    c)- la nuova emigrazione si sviluppa in uno scenario di flessione demografica del paese (accanto ad una parallela flessione che riguarda anche gran parte dei paesi che costituiscono meta di arrivo degli italiani) e non, come avvenuto dei periodi precedenti, di crescita e surplus demografico.

    L’impressione è che quindi ci si trovi di fronte ad una nuova tipologia di migrazione che potrebbe essere definita “estrattiva” o di drenaggio di risorse, analogamente a quanto si definisce con questo termine, lo sfruttamento intensivo delle risorse naturali nei paesi periferici, ripreso negli ultimi decenni, da parte del grande capitale multinazionale che trova la sua collocazione solo in alcuni paesi guida, e in contrasto con ipotesi alternative di sviluppo che compendiano la possibilità di una crescita sostenibile dal punto di vista sociale ed ecologico. Cioè di un equilibrio tra risorse disponibili ed paesi/aree/continenti. Ovviamente, questo è un discorso che riguarda sia la nostra nuova emigrazione che l’immigrazione terzomondiale verso l’Italia e l’Europa.

    Il fatto che paesi come la Germania stiano sviluppando un piano di acquisizione di risorse umane dal resto del mondo per contenere la propria flessione demografica (- 10milioni previsti per il 2050), così come altri paesi sviluppati o in via di sviluppo stanno facendo o cercando di fare, configura il fenomeno della nuova emigrazione italiana entro scenari anche teorici in parte diversi da quelli su cui storicamente abbiamo ragionato:

    appare sempre più difficile sostenere un’idea di emigrazione come risorsa che può alimentare (attraverso le rimesse o la crescita di competenze di ritorno) i paesi erogatori e allo stesso tempo ridurre le tensioni sociali ed economiche causate da una sovrappopolazione rispetto alla capacità di assorbimento delle rispettive economie di partenza dei flussi.

    Sembrerebbe più adeguata una lettura dei nuovi flussi, come flussi aspirati (o accaparrati) dai paesi più forti, visto che il circuito di valorizzazione capitalistica li esige parallelamente allo sviluppo tecnologico che sono in grado di attivare più e meglio di noi. Vi sarebbe anche da riflettere sulla possibilità che lo sviluppo tecnologico e l’automazione, necessitino, dal punto di vista della valorizzazione capitalistica, non di una riduzione, ma di un aumento delle risorse umane qualificate a disposizione. Per questo la nuova emigrazione è caratterizzata da alti livelli di scolarizzazione e di competenze. (come peraltro definito in modo cristallino dalla Legge sull’immigrazione approvata in Germania all’inizio del 2.000, che regola i flussi di ingresso in base alla qualità della risorsa immigrazione). Cosa riconfermata in occasione dell'”apertura” all’ingresso dei profughi siriani in quanto portatori di livelli di scolarizzazione e di competenze abbastanza elevate.

    [continua]

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    1. articolo molto interessante che avevo già letto.
      rilevo però un dettaglio: al giorno d'oggi (con le scuole superiori che sono ormai, salvo poche eccezioni, a livelli penosi) non credo si possano definire a scolarizzazione medio-alta i diplomati.

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    2. Ciao Luca. Per quanto riguarda le scuole superiori, io ho insegnato sia nei licei, nei tecnici che nei professionali; ti confermo uno scadimento generale della qualità dell'istruzione, ma quello che ho notato è che nei licei e negli istituti tecnici gli studenti ancora imparano qualche nozione di base, che poi magari sviluppano riuscendo a trovare un lavoro qualificato all'estero; nello stesso tempo il paese accettore risparmia sui costi dell'istruzione a livello medio; il grosso problema sono i professionali: a parte i continui tagli su tutto ciò che è la didattica e le infrastrutture, qui si trova di tutto: emarginati con problemi economici e famigliari, alto tasso di immigrati che non conoscono nemmeno la lingua italiana, spaccio, consumo di droghe, anche pesanti, atti vandalici, intimidazione verso i docenti; i voti in questi istituti sono molte volte fittizi, anche se promossi, gli studenti delle superiori non sanno nemmeno le nozioni elementari.

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    3. e infatti...io non credo neppure che senza una laurea, almeno triennale, all'estero si possa trovare qualcosa di diverso dal lavapiatti o il cameriere.
      nei paesi dove emigrano gli italiani già di base ci sono più laureati. alle volte il doppio che qui. e sono madrelingua. e se hanno bisogno di un diplomato tecnico per fare il meccanico lo prendono in casa.

      difatti, per quel che so io, l'emigrazione italiana è fatta di due tronconi:

      - i diplomati, che finiscono a lavorare in hotel e ristoranti o magazzini. con contratti che sono poco diversi da un lavoro nero in italia (spesso zero contribuzione, niente ferie, niente contributi pensionistici, niente malattia, niente minimo di ore al mese garantito...unici benefit assicurazione sanitaria - magari con franchigia - e assicurazione infortuni sul lavoro).

      - i laureati che, se privi di esperienza, devono passare attraverso uno stage sottopagato come qui...e poi finalmente possono guadagnare meglio e magari anche crescere come competenze acquisite.


      io capisco i laureati che si giocano la chance che hanno... non capisco però chi va a londra per fare il cameriere. quello proprio non riesco a capirlo.

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    4. Ciao Luca, penso che anche lí, come del resto qui, preferiscano un italiano, o un bulgaro, o un rumeno ad un autoctono perché costa meno, la Germania sta basando la propria economia su questo. Altrimenti non si capisce tutta questa emigrazione di soli "lavapiatti".
      La aziende svizzere fanno cosi ad esempio, preferiscono un tecnico italiano pagandolo la metà di uno svizzero, tanto per l'italiano é un vantaggio rispetto agli stipendi e alle opportunità nel suo paese. Il problema poi rimane ai giovani svizzeri o tedeschi...ma questa é la legge della domanda e dell'offerta internazionalista e senza frontiere

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    5. E poi non é che emigrino solo giovani neodiplomati o neolaureati. Ci sono tantissime persone diplomate e con anni di esperienza accumulati in aziende italiane che poi hanno chiuso, quindi stiamo attenti a non scambiare l'emigraziine italiana col neodiplomato senza esperienza. Ci sono greggi di diplomati 40enni o 50enni con esperienza che in Italia sarebbero finiti suicidati ma all'estero trovano ancora qualche spiraglio.

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    6. ah per i tecnici con esperienza e padronanza della lingua alcuni paesi del nord europa sono un eldorado a confronto dell'italia.
      ma infatti quelli li capisco benissimo.

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  8. "Allo stesso tempo, si può dire, per quanto ci riguarda, che nell’ambito di una crisi che ha distrutto oltre il 20% del potenziale industriale del Paese, ci troviamo di fronte ad uno scenario analogo a quello di un dopoguerra, con esuberi di risorse umane rispetto al potenziale industriale attivo, pur in presenza di un deficit demografico.

    Dal punto di vista dei paesi accettori, questo accaparramento, soddisfa non solo l’esigenza a breve termine del sistema economico dei paesi di arrivo, ma risulta indispensabile, a lungo termine, anche per contenere il proprio deficit demografico. In questo senso, la mercificazione del lavoro, raggiunge i suoi più avanzati livelli e si coniuga con la progettazione di società del futuro ad alta o meno alta competenza diffusa.

    Il che equivale a dire che il posizionamento internazionale di paesi che fino ad ora erano relativamente collocati su livelli simili, pur con differenziazioni importanti, può bruscamente e definitivamente variare in direzione di una ricollocazione nei livelli medio-bassi della divisione internazionale del lavoro (per l’Italia).

    Nei paesi di partenza, se questo trend si consolida, inevitabilmente, ci si troverà di fronte, a medio termine, a ricadute negative: peggioramento dell’equilibrio demografico e carenza di competenze di medio-alto livello per lo sviluppo.
    La proiezione dello Svimez riguardo al meridione a metà secolo (con una riduzione di 4,5 milioni di popolazione al 2050), in mancanza di politiche alternative, può riguardare anche buona parte del resto del paese ed è, in modo inquietante, parallelo alla previsione dei 10milioni di ingressi progettati dalla Germania nello stesso periodo. Vi è da rilevare, a questo proposito, che gli ingressi in Germania, negli ultimi anni, non provengono da paesi extraeuropei (Asia o Africa), ma in parte preponderante dai paesi europei limitrofi (dell’est e del sud Europa: Polonia, Romania, Bulgaria, Ungheria, Italia, Spagna Croazia e Portogallo).

    La nuova emigrazione, può costituire, da questo punto di vista, un nuovo Eldorado per i paesi di arrivo e un grande problema nazionale per quelli di partenza; non si tratta solo di una questione di natura politica o morale, è piuttosto un’indicazione di assoluta evidenza degli scenari attuali e di quelli che possono presentarsi a medio-lungo termine."
    https://cambiailmondo.org/2016/04/13/la-nuova-emigrazione-italiana-e-tre-volte-superiore-ai-dati-istat-e-supera-il-numero-di-immigrati-economici-e-profughi/

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    1. Inutile dire che tutto questo non sarebbe inevitabile ove fosse stata rispettata, e si rispettasse in futuro, la nostra Costituzione.
      Purtroppo gli economisti non ne hanno la più pallida idea (anzi, se mainstream, la considerano un ostacolo alla crescita); mentre i giuspubblicisti non hanno idea degli effetti macroeconomici della moneta unica e dei vantaggi comparati.

      Tutti insieme, poi, parlano, all'unisono coi vertici istituzionali, solo di debitopubblicobrutto e inflazione come la più ingiusta delle tasse...(senza trascurare la corruzzzzione che ostacola gli investimenti esteri).

      Einaudi e Hayek sono riusciti a riscrivere la Costituzione (in via...giurisprudenziale).

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  9. Sono inaccessibili i link [7] [8] [9]. Ci vuole pare un'autorizzazione speciale.
    Qual è la citazione?

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    1. Avevo dimenticato il link al post originario (che ho inserito): in effetti si tratta di note a piè di pagina ivi riprodotte

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  10. L'immigrazione economica clandestina e di massa è un male assoluto e per i cristiani (ovviamente non per il papa in seconda gesuita) vale solo l'obbligo di soccorso.

    Non siamo obbligati ad "amare" i clandestini, meno che mai ad accoglierli stabilmente, sia perché non sono "il nostro prossimo" (nel significato originario del Vangelo), sia perché il loro arrivo peggiora le condizioni di vita dei residenti (fanno il male ai residenti), sia perche' coloro che abbandonano la propria terra di origine condannano chi resta (principalmente donne, vecchi e bambini) ad un degrado ineluttabile e senza speranza delle condizioni di vita (cioè fanno il male anche nei confronti del loro prossimo).

    Chi abbandona la lotta per costruire migliori condizioni di vita nel proprio paese di origine è giustificato solo se ricorrono le condizioni per essere considerato un richiesto.

    Chi crea le condizioni per incoraggiare l'emigrazione economica clandestina e di massa è un criminale.

    Come osservato da Marcello Foa, la dichiarazione della Bonino (abbiamo chiesto segretamente che...) è di una gravità inaudita.

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    1. Criminale e psicopatico, perché mosso da obiettivi di lungo termine di tipo malthusiano, e quindi intrisecamente volti a "carestie, epidemie e guerre".

      Ora il punto, qui tante volte sollevato è; l'ordine internazionale dei mercati ha inevitabilmente questi fini e questi effetti, appunto criminali "contro l'umanità".

      L'opposizione di massa è però impedita dal rigido controllo mediatico e dalla sedazione cultural-religiosa, la cui proiezione più "in voga" è il paradigma teocratico del mercato, divenuto monopolio (mondiale) della sovrastruttura politico-istituzionale.

      Soluzioni di medio-periodo? Apparentemente, solo speranze di controspinte incomplete e, come tali, instabili e non univoche.

      E tuttavia, attendere oltre (tale medio periodo), coltivando un intransigente spirito democratico-costituzionale, che è poi un richiamo alla legalità, non si può.
      Sarebbe tardivo.
      Sarebbe l'attesa del massacro ormai inevitabile: per carestie, epidemie e guerre.

      Il trilemma di Rodrik (in realtà un corollario post-litteram della visione keynesiana), non è un mero esercizio logico: è l'identikit di una tragedia annunciata...

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    2. Mi è sfuggito richiesto invece di rifugiato:
      "...per essere considerato un rifugiato".

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    3. Aveva comunque un senso:
      a) chi abbandona perché "rifugiato", cioè costretto dallo stato di necessità umanitario assoluto (assunto come giuridicamente valevole erga omnes, sia pure a condizioni storico-politiche contigenti e NON inderogabili secondo il diritto internazionale, elemento ormai totalmente dimenticato);
      b) E ANCHE chi sia un "richiesto" secondo il diritto interstatale, normalmente bilaterale, cioè in base a trattati in cui ogni stipulante persegue un rispettivo apprezzabile interesse generale; cfr; http://orizzonte48.blogspot.it/2016/03/immigrazione-in-europa-e-uropean-way-le.html

      Esistono cioè ben diverse modalità di emigrazione economica: - CONSENSUALE rispetto al paese d'arrivo e regolata con una certa reciprocità, quantomeno teorica, apprezzata dal paese di provenienza (caso italiano del dopoguerra, ove si ovviava all'eccesso di manodopera rispetto ad un'offerta in via di "ricostruzione");
      - e non consensuale ed invece "OSTILE" verso il paese di destinazione: perché astretto da diverse forme di PRIVAZIONE DELLA SOVRANITA' e, quindi, da condizionalità ricattatorie

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  11. Ma...non erano le frontiere ad essere naziste? (E quindi evidentemente l’annessionismo democratico…).

    Lo sciovinista tedesco Lensch, negli articoli da noi menzionati nella tesi 5 […], ha citato, un passo interessante dallo scritto di Engels: Po e Reno. Engels vi dice, tra l’altro, che le frontiere delle «grandi e vitali nazioni europee» sono state sempre più determinate, nel processo dello sviluppo storico che inghiottì una serie di nazioni piccole e prive di vitalità, «dalla lingua e dalle simpatie» della popolazione. Engels chiama queste frontiere «frontiere naturali». […]
    Ora il capitalismo reazionario, imperialistico, spezza sempre più spesso queste frontiere determinate democraticamente. Tutti gli indizi attestano che l’imperialismo lascerà in eredità al socialismo che lo sostituirà frontiere meno democratiche, parecchie annessioni in Europa e nelle altre parti del mondo. E allora? Il socialismo vittorioso, ristabilendo e applicando fino in fondo, su tutta la linea, la piena democrazia, rinuncerà a determinare democraticamente le frontiere dello Stato? Non vorrà tener conto delle «simpatie» della popolazione? […] I vecchi «economisti», facendo del marxismo una caricatura, insegnavano agli operai che per i marxisti è importante «soltanto» l’«economico». I nuovi «economisti» credono o che lo Stato democratico del socialismo vittorioso esisterà senza frontiere (come «il complesso delle sensazioni» senza la materia), oppure che le frontiere verranno determinate «soltanto» in funzione dei bisogni della produzione. In realtà queste frontiere verranno determinate democraticamente, cioè conformemente alla volontà e alle «simpatie» della popolazione. Il capitalismo violenta queste simpatie aggiungendo così nuove difficoltà al ravvicinamento delle nazioni.
    ” (Lenin, Risultati della discussione sull’autodecisione, scritto nel luglio 1916 e pubblicato nello Sbornik Sotsial-Demokrata, n. 1, ottobre 1916, in Opere complete, vol. XXII, Editori Riuniti, 1966, pagg. 322-3)

    (Secondo me quelli sulla questione nazionale, i cui principi erano peraltro quelli ufficiali della Seconda Internazionale, sono fra gli scritti più belli di Lenin. Anche fra i più negletti, mi pare).

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    1. Dovresti farne una raccolta organica pro-memoria (sappiamo pure a chi risulterebbe particolarmente utile)

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  12. €UGENETICA DOMENICALE
    (OTC, teorie e pratiche per migliorare il genoma)

    Da gonadista, la domenica vado a messa da BarbaPapà e stamane ho capito che i maiali, selezionati due su tanti, servono anche da vivi oltre dopo macellazione.

    That's all, folks!!

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